Per alcune attività la sicurezza dei dati è il vero rischio, non sottovalutarlo può danneggiarti più di un incendio…
Quella che, con un termine ormai entrato nell’uso comune, viene indicata come privacy può essere definita come il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata, cioè uno strumento posto a salvaguardia e a tutela della sfera privata del singolo individuo, da intendere come la facoltà di impedire che le informazioni riguardanti tale sfera personale siano divulgate in assenza di una norma specifica che lo preveda o dell’autorizzazione dell’interessato. Se ci fermassimo a questa prima parte della definizione però, perderemmo un tratto essenziale di tale diritto ossia quello che assicura all’individuo il controllo in ogni tempo ed in ogni luogo su tutte le proprie informazioni, fornendogli nel contempo gli strumenti per la tutela di queste informazioni.
L’istituto nasce come diritto “a essere lasciato solo” (to be let alone) negli Stati Uniti nel 1890, e viene elaborato nel nostro paese a partire dagli anni ‘60-’70 come generico diritto alla libera determinazione nello svolgimento della propria personalità.
Sempre più compresso nella società della comunicazione elettronica, nel tempo si è evoluto ed oggi si parla di privacy non più, e non solo, nel senso di protezione dei dati personali (quindi come diritto negativo volto a impedire la rilevazione di informazioni sul nostro conto), ma in una accezione più ampia anche quale diritto ad esprimere liberamente le proprie aspirazioni più profonde e realizzarle attingendo liberamente alla proprie potenzialità. In tal senso è intesa come privacy anche l’autodeterminazione e la sovranità su se stessi, il riconoscersi parte attiva, e non più passiva, in un rapporto con le istituzioni, nel rispetto reciproco delle libertà.
Per quanto riguarda la legislazione italiana è inutile cercare norme sulla privacy nella carta Costituzionale, essendo nata in un’epoca nella quale il problema era poco sentito. Però nel tempo si sono ritrovati numerosi riferimenti tra le righe delle varie disposizioni, in particolare negli articoli 14, 15 e 21, rispettivamente riguardanti il domicilio, la libertà e segretezza della corrispondenza, e la libertà di manifestazione del pensiero. In realtà il primo e più importante riferimento è oggi visto nell’articolo 2 della Costituzione, in quanto si incorpora la privacy nei diritti inviolabili dell’uomo, come del resto ha sostenuto la Corte Costituzionale con la sentenza n. 38 del 1973. La prima elaborazione del diritto alla privacy la abbiamo a livello giurisprudenziale, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4487 del 1956, a seguito di un ricorso degli eredi del tenore Enrico Caruso, con la quale si identificava tale diritto nella tutela delle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile. Una tale affermazione è divenuta fondamentale per il bilanciamento tra riservatezza e diritto di cronaca, in quanto la linea di demarcazione tra privacy e diritto all’informazione di terzi è oggi data dalla popolarità del soggetto, pur precisando che anche soggetti famosi conservano tale diritto, però limitatamente a fatti che non hanno niente a che vedere con i motivi della propria popolarità. Di seguito il concetto di privacy si evolse a mezzo di ulteriori sentenze, come quella della Cassazione del 20 aprile 1963, n. 990, con la quale la Suprema Corte riconosceva fondata la pretesa dei familiari di Claretta Petacci a non raccontare in un libro vicende private in assenza di interesse pubblico. Se nelle predette sentenze la Cassazione formalmente non riconosceva l’esistenza di un diritto alla riservatezza, ma nella sostanza ammetteva il diritto ad un tutela in tale ambito, solo nel 1975 finalmente si riconobbe che nel nostro ordinamento il diritto alla privacy aveva una cittadinanza, con la sentenza n. 2129 del 27 maggio 1975, con la quale si tutelava il diritto alla riservatezza della moglie dello Scià di Persia. Inizialmente, quindi, la riservatezza era più che altro un diritto delle persone famose, infatti l’Italia arrivò come penultima in Europa ad approvare una legge di tutela della privacy di applicazione generale, trasfusa prima nella legge 675 del 1996 e poi nel Codice in materia di protezione dei dati personali (Codice della privacy) cioè il Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dal quale si evince chiaramente che la privacy non è solo il diritto a non vedere trattati i propri dati senza consenso, ma anche l’adozione di cautele tecniche ed organizzative che tutti, compreso le persone giuridiche, devono rispettare per procedere in maniera corretta al trattamento dei dati altrui. Il 2018 è però l'anno della svolta, finalmente le tutele spezzettate concesse dai singoli Stati con le proprie legislazioni specifiche si sono evolute in un'unica, avanzatissima, legislazione sovranazionale, il Regolamento UE 2016/679, conosciuto anche con l'acronimo G.D.P.R. che sta per "General Data Protection Regulation". Il G.D.P.R. rappresenta ad oggi lo "stato dell'arte" ed è applicato in Italia come in tutta Europa, ma rappresenta il punto di riferimento mondiale per la tutela dei dati nella società dell'informazione. Studio AG.I.COM.. fin dalla sua costituzione, segue la materia sotto il profilo tecnico-legale presso Enti pubblici (Scuole in particolare) ed imprese particolarmente esposte alle criticità connesse alla riservatezza dei dati più delicati. L'avvento del G.D.P.R. ha rappresentato quindi per lo studio la logica prosecuzione di un'esperienza iniziata nel 1998 e l'aggiornamento di una regolamentazione che, ferma al 2003, sentiva il peso degli anni soprattutto se paragonata all'evoluzione che contestualmente Internet ha avuto in quasi 20 anni di vita. E' stato quindi naturale, nel 2018, per Luca Corbellini acquisire presso i propri clienti il nuovo ruolo di D.P.O. (Responsabile della Protezione dei Dati), introdotto dal Regolamento UE per rendere effettiva una materia troppo spesso relegata a mero adempimento formale.